Lo scattering come metodo per l'indagine della struttura dei sistemi fisici. Dopo una discussione generale, il candidato tratti più approfonditamente un caso specifico.

 

 

 

 

Lo scattering è una tecnica sperimentale di importanza fondamentale per lo studio dell'organizzazione microscopica della materia. Il primo a farne uso fu Lord Rutherford nel 1911, che fu in grado di comprendere la struttura degli atomi dall'osservazione della distribuzione degli angoli di scattering delle particelle alfa su una sottile lamina d'oro. Il modello allora in voga per la distribuzione di carica negli atomi era quello di J.Thomson, che aveva ricevuto nel 1907 il premio Nobel per la scoperta dell'elettrone. Secondo Thomson, gli elettroni occupavano posizioni di equilibrio in una distribuzione sferica e uniforme di carica positiva; si poteva così spiegare - ma solo qualitativamente - l'emissione di radiazione elettromagnetica come il frutto dell'oscillazione degli elettroni attorno alle loro posizioni di equilibrio in atomi eccitati; la complessità degli spettri di emissione rimaneva comunque inspiegata.

Il metodo di Rutherford, messo in opera da Geiger e Marsden, consisteva nell'osservazione della distribuzione angolare delle particelle alfa dopo l'attraversamento della lamina; a questo scopo era utilizzato uno schermo mobile in solfuro di zinco, che emetteva una debole scintillazione se attraversato dalle particelle alfa. Se la distribuzione di carica nell'atomo fosse stata quella descritta da Thomson, si sarebbero osservate solamente deflessioni ad angoli piccoli rispetto alla direzione di incidenza, perché una distribuzione uniforme di carica positiva avrebbe esercitato solo una debole forza sui proiettili, e neppure gli elettroni avrebbero potuto modificarne l'impulso in maniera apprezzabile, data la loro piccola massa. Si poteva cioè calcolare che le particelle alfa da 7 MeV utilizzate come proiettili avrebbero risentito di deflessioni dell'ordine di 10-4 radianti per ogni collisione, e quindi - per spessori della lamina equivalenti a 10000 collisioni successive - mai superiori a poche volte 10-2 radianti, dato che l'angolo di deflessione totale deve seguire la distribuzione di Poisson, e quindi <q2>1/2 = 10-4 (Nurti)1/2. Sorprendentemente, anche con le lamine più sottili si osservava un piccolo numero di deflessioni ad angoli anche superiori a 90°: per dirla come Rutherford, era come bombardare carta velina con proiettili di mortaio e vederseli rimbalzare addosso!

Per una discussione generale dello scattering si può partire da un modello semplificato, quello di un fascio di particelle di spin nullo che incidono una alla volta su una zona interessata da un potenziale V(r) a simmetria sferica, infinitamente massivo: nonostante le notevoli semplificazioni, questo modello permette di apprezzare gli aspetti essenziali del fenomeno.

La rappresentazione più naturale di un fascio di particelle che incide sul bersaglio viaggiando nella direzione z è quella di un'onda piana y = e ikz (trascurando il problema della normalizzazione e la dipendenza temporale); tuttavia, se il potenziale del centro di scattering ha simmetria sferica, il momento angolare è una quantità conservata, ed esistono quindi autofunzioni contemporanee dell'hamiltoniana H, di L2 e Lz: a causa di ciò, risulta conveniente uno sviluppo dell'onda piana come sovrapposizione di onde sferiche del tipo eikr/r (una dipendenza radiale di questo tipo è richiesta dall'indipendenza del flusso da r); la dipendenza dalla coordinata q delle autofunzioni è contenuta nei polinomi di Legendre Pl(cosq), e ovviamente non c'è dipendenza dall'angolo azimutale f. Possiamo allora scrivere, per kr>>1, lo sviluppo

yinc = i/2kr Sl (2l + 1) [ (-1)l e -ikr - e ikr ] Pl (cos q).

L'interazione con il potenziale può causare una attenuazione hl ed una differenza di fase 2dl ad ogni componente dell'onda incidente. La funzione d'onda totale sarà allora

ytot = i/2kr Sl (2l + 1) [ (-1)l e -ikr - hl e 2idl e ikr ] Pl (cos q),

e la componente diffusa sarà data da

ysc = ytot - yinc = ( e ikr / r ) F (q),

ove la quantità

F (q) = 1/2ik Sl (2l + 1) [ hl e 2idl - 1 ] Pl (cos q)

è detta ampiezza di scattering, ed è connessa alla sezione d'urto differenziale elastica del processo tramite la relazione

dsel = | F(q) |2 dW.

Se si integra sull'angolo q, tenendo conto delle relazioni di ortogonalità dei polinomi di Legendre, si ottiene la sezione d'urto elastica

sel = 4p/k2 Sl (2l + 1) |(hl e 2idl - 1)/2i|2,

che, quando hl = 1, diventa

sel = 4p/k2 Sl (2l + 1) sin2 dl:

la sezione d'urto elastica per l'onda parziale l-esima è quindi nulla se questa non risente di uno spostamento di fase, come ci si aspetterebbe; essa assume poi il massimo valore quando la differenza di fase ha il valore p/2: si parla in tal caso di scattering risonante.

La sezione d'urto del processo non elastico si ottiene tenendo conto della conservazione del flusso: si trova allora

 

sinel = p/k2 Sl (2l + 1) (1 - |hl|2).

 

Il massimo valore di quest'ultima, permesso dalla conservazione del flusso (o, come si preferisce dire, dall'unitarietà), si ottiene se hl = 0: per l'onda l-esima si avrà allora

 

(sinel)max=p/k2(2l+1),

 

relazione che si può comprendere anche con un argomento classico: le particelle che incidono sul centro di scattering con momento angolare compreso fra i valori l e l+1, ove l = pb/h = bk (se b è il parametro d'impatto), interessano un anello di area totale s = p ( bl+12 - bl2 ) = p/k2 (2l + 1).

 

Attraverso le relazioni ora viste, il problema della determinazione del potenziale V(r) può essere risolto con la determinazione sperimentale della forma funzionale della sezione d'urto: occorre in tal caso determinare tutti gli sfasamenti dl per ogni scelta sensata del potenziale, e utilizzarli per calcolare la sezione d'urto, da confrontare poi con quella osservata. Questo è ovviamente possibile solamente se poche onde parziali subiscono sfasamenti diversi da zero: se l/k è superiore alla massima distanza alla quale il potenziale V(r) assume valori non nulli, il corrispondente sfasamento dl è nullo, e non occorre considerarne l'effetto nel calcolo. Va però notato che, se si vuole ricevere informazioni sul potenziale, bisogna utilizzare particelle incidenti con impulso k che sia confrontabile con le distanze ove il potenziale V(r) assume valori non nulli, altrimenti neppure le onde parziali a momento angolare l=1 possono essere influenzate. Questa prescrizione ha una validità del tutto generale nei problemi di scattering: come sappiamo dalle leggi dell'ottica, un ostacolo può modificare la fase di un'onda solamente se le sue dimensioni sono dell'ordine della lunghezza d'onda del moto ondulatorio, e quindi per essere studiato mediante scattering va illuminato con luce di lunghezza d'onda confrontabile con le sue dimensioni.

Sessant'anni dopo il lavoro di Rutherford viene alla ribalta un problema concettualmente quasi identico a quello della struttura dell'atomo: il problema della struttura del protone. Già nel 1964 Murray Gell-Mann aveva ipotizzato l'esistenza di tre costituenti elementari, i quarks u,d, ed s, riuscendo a spiegare con essi la moltitudine di stati adronici che gli esperimenti di formazione e di produzione avevano individuato a partire dagli anni '50: nel modello a quarks statico mesoni e barioni sono pensati come combinazione di coppie o terne dei quarks, che sono le rappresentazioni irriducibili del gruppo di simmetria SU(3)f, aventi carica elettrica frazionaria pari a +2/3 o -1/3, spin 1/2 e numero barionico 1/3. Ma per un'indagine più accurata della struttura del protone, è necessario rivolgersi ad esperimenti di scattering analoghi a quelli di Rutherford-Geiger-Marsden: anzi, nel caso dei quarks, confinati all'interno degli adroni dal campo di colore, lo scattering si rivela l'unico strumento possibile per rivelare la loro esistenza: mentre i protoni e neutroni, costituenti dei nuclei atomici, possono essere osservati direttamente, i quarks si comportano come particelle libere solamente a scale di distanza estremamente ridotte, e non possono essere estratti dagli adroni di cui sono costituenti.

Il metodo utilizzato verso la fine degli anni '60 per rivelare la struttura del protone fu quello di osservare lo scattering da essi prodotto su elettroni di alta energia. La variabile più importante in questo caso è il q2, il quadrimomento trasferito, equivalente alla virtualità del fotone scambiato fra l'elettrone e la carica elettrica nel protone. Per valori di q2 superiori a qualche GeV2, la sezione d'urto ha una componente inelastica dominante su quella elastica, e lo scattering è chiamato profondamente inelastico (in sigla: DIS, da deep inelastic scattering): la collisione nella maggior parte dei casi distrugge l'individualità del protone, e dà luogo a un certo numero di stati adronici, indicati globalmente dalla lettera X.

Il formalismo da utilizzare nel DIS dev'essere compatibile con la natura relativistica del processo: si indica con

 

q = p - p' = ( n, q )

 

il quadrimomento, ove n = E - E', q = p - p'. Nel sistema di riferimento del laboratorio, ove il protone è fermo, si ha pp = (M, 0), e per lo stato X è px = (Ex, px ), con px = q. Se non interessa la composizione dello stato X, il processo può essere descritto compiutamente dalla conoscenza di n e q2, e si può scrivere la sezione d'urto nella forma seguente:

 

d2s = 4pa2/q4[E'/En]{F1(q2,n)sin2q/2 + F2(q2,n)cos2q/2}dn dq2,

 

ove nei fattori di forma F è riassunta l'ignoranza delle particolari interazioni magnetiche ed elettriche risentite dall'elettrone nella sua interazione ravvicinata con la distribuzione di carica del protone. Esperimenti di questo tipo effettuati a Stanford nel 1967 dimostrarono che in realtà la sezione d'urto ad alte energie non decresceva come ci si attendeva all'aumentare del q2 - fenomeno analogo all'esistenza di grandi angoli di deflessione nell'esperimento di Rutherford! -, e dipendeva da una sola variabile, x = -q2/2Mn: questo comportamento era stato poco tempo prima previsto da Bjorken (ed ha infatti il nome Bjorken scaling) sulla base di uno studio teorico molto complesso, che ipotizzava la presenza di costituenti puntiformi (partoni) all'interno del protone. Alla variabile x diede un significato fisico chiaro Feynman nel 1969, che considerò un sistema di riferimento in cui il protone ha impulso P elevatissimo - il cosiddetto infinite momentum frame -, cosicché la sua massa può essere trascurata. Ipotizzando il protone come un flusso di partoni, trasportante ciascuno una frazione x di momento del protone, anche la massa m di questi può essere trascurata, e così pure il loro impulso in direzione trasversale all'impulso P del protone. Se si suppone allora che lo scattering abbia luogo fra l'elettrone e uno dei partoni, si ha che

 

(xP + q)2 = -m2 = 0,

 

da cui

 

x2P2 + q2 + 2xp*q = 0,

e se x2P2 = x2M2 è molto minore del quadrimomento q2 del fotone virtuale, si ottiene

x = -q2/2P*q = -q2/2Mn

ove il prodotto scalare P*q è invariante ed è stato valutato nel sistema del laboratorio, ove il protone è a riposo e l'energia trasferita è n. Da ciò si vede che x ha il significato di una frazione della massa del protone, trasportata dal partone inizialmente a riposo nel sistema del laboratorio. F(x) fornisce in tal caso una misura della distribuzione di probabilità della massa dei costituenti del protone.

Un considerevole contributo all'unificazione del modello a quarks di Gell-Mann con il modello a partoni di Feynman-Bjorken è poi giunto agli inizi degli anni '70 dall'analisi degli scattering neutrino-nucleone. Il neutrino (muonico, dato il modo di produzione agli acceleratori, per decadimento di K e pioni) interagisce debolmente con i quarks contenuti nei nucleoni, attraverso lo scambio di corrente carica o neutra; nei processi di corrente carica (in cui avviene lo scambio di un bosone W) il neutrino emerge come un muone, e le quantità rilevanti del processo sono dunque misurabili dall'osservazione del m emesso e del quadrimomento complessivo dello stato X. Dagli esperimenti al CERN nel 1973 si poté verificare che le sezioni d'urto di scattering neutrino-nucleone seguivano le previsioni fornite dall'assumere che i partoni fossero effettivamente i quarks di Gell-Mann, con cariche elettriche frazionarie, e che le sezioni d'urto osservate fossero la somma di processi incoerenti di scattering da ciascun quark, con probabilità relative date dalle funzioni di distribuzione del momento dei quarks nei nucleoni.

Sono passati vent'anni dagli esperimenti che hanno provato la struttura a quarks e gluoni dei nucleoni: quelli di scattering neutrino-nucleone, quelli di misura del rapporto R tra le sezioni d'urto di scattering elettrone-positrone in coppia di muoni o in stati adronici, e quelli che per primi rivelarono la presenza di getti di particelle nello stato finale degli scattering e+e-, quale quello effettuato con il rivelatore MARK I all'acceleratore SPEAR nel 1975. Ancor oggi - e speriamo ancora per lungo tempo! - gli esperimenti di scattering continuano a rivestire grande interesse nella fisica delle particelle elementari. La correttezza della teoria che descrive le interazioni fra quarks e gluoni attraverso il campo di colore, la QCD, viene verificata con sempre maggiore precisione negli esperimenti ai colliders e+e- e protone-antiprotone. Una misura particolarmente interessante è stata recentissimamente compiuta dalla collaborazione CDF a Fermilab, che ospita il più potente acceleratore di protoni e antiprotoni (con un'energia nel centro di massa pari a 1.8 TeV): si tratta della sezione d'urto di produzione inclusiva di jets al variare del q2. Questa è stata investigata negli oltre 100 pb-1 di luminosità integrata raccolti fra il 1992 e il 1995 al variare del q2 da poche decine di GeV2 ai valori più alti disponibili, e mostra un accordo perfetto entro più di nove ordini di grandezza (dal millibarn al picobarn). Ma sembra tuttavia esserci una deviazione positiva ai più alti valori di q2, cosa che potrebbe segnalare la natura non puntiforme dei quarks. La storia si ripete ? Lo sapremo forse fra qualche anno, quando comincerà a raccogliere dati il nuovo collisore LHC.