Si descriva uno strumento sperimentale o teorico che ad avviso del candidato sia di rilevante interesse per la fisica moderna

 

 

 

Gran parte della nostra attuale conoscenza della fisica delle particelle elementari è stata raggiunta, nel corso degli ultimi cinquant'anni, attraverso un continuo affinamento delle tecnologie necessarie all'accelerazione e alla rivelazione delle particelle cariche. In particolare, mezzi sempre più efficienti di rivelazione ed amplificazione dei deboli segnali rilasciati dalla materia attraversata da radiazione ionizzante hanno permesso misure sempre più accurate di posizione e impulso delle particelle prodotte negli esperimenti di scattering, permettendo l'identificazione di nuovi stati e la deduzione di nuove leggi. Negli ultimi vent'anni, tuttavia, alla necessità di precise misure di traiettoria si è affiancata una concorrente esigenza di misure energetiche, per mezzo di dispositivi di rivelazione ad assorbimento totale, chiamati convenzionalmente calorimetri. In questa breve dissertazione desidero fornire una descrizione di questi rivelatori, che risultano indispensabili agli esperimenti attivi ai più moderni colliders.

La convenienza dell'approccio calorimetrico all'analisi delle collisioni prodotte ai colliders è dovuta non soltanto alla possibilità di misurare l'energia delle particelle indipendentemente dalla loro carica elettrica (i calorimetri sono infatti altrettanto sensibili alle particelle cariche quanto alle particelle neutre), ma soprattutto all'aumento dell'energia disponibile nel centro di massa delle collisioni: e questo non tanto per il concomitante aumento - approssimativamente logaritmico - del numero di particelle prodotte, quanto per la presenza, al di sopra di qualche decina di GeV nel c.m., di jets di adroni nello stato finale (dovuti allo scattering di singoli quarks o gluoni), per i quali una misura calorimetrica si rivela molto efficace. Inoltre l'aumento dell'energia media delle particelle prodotte rende vantaggiosi i calorimetri in quanto le loro dimensioni longitudinali a parità di risoluzione aumentano solamente con il logaritmo dell'energia delle particelle; ciò va confrontato con il molto più problematico aumento delle dimensioni longitudinali degli spettrometri magnetici, dato che a parità di risoluzione (e di campo magnetico) le dimensioni di questi devono scalare con la radice quadrata dell'impulso delle particelle. Infine va detto che lo studio di fenomeni a bassa sezione d'urto, come la produzione di quarks pesanti (ad esempio pp®tt, che ha una sezione d'urto di una decina di picobarns all'energia del Tevatron Ös=1.8 TeV) necessita della massima luminosità possibile; luminosità dell'ordine di 1031 cm-2 s-1 sono ormai all'ordine del giorno, e questo comporta la necessità di costruire veloci sistemi di trigger che siano in grado di riconoscere in tempi brevissimi gli eventi realmente interessanti in una messe di processi ad alta sezione d'urto, di scarso interesse. I calorimetri sono molto adatti a questo scopo, perché essi possono essere costruiti con materiali scintillatori, che hanno risposte dell'ordine di qualche nanosecondo, da confrontarsi con i tempi dell'ordine del microsecondo tipici della maggior parte dei sistemi di tracciamento.

 

Esistono diversi tipi di calorimetri, sviluppati in funzione delle diverse esigenze sperimentali: omogenei o a campionamento, compensati o pesati, elettromagnetici ed adronici, a scintillatore o a gas; il principio di funzionamento è tuttavia sempre lo stesso: nei calorimetri l'energia delle particelle - siano esse elettromagneticamente cariche oppure neutre - viene misurata facendole interagire con la materia fino al totale esaurimento della loro energia cinetica. La cessione energetica è minuscola in termini di grandezze macroscopiche come la temperatura: ad esempio, l'assorbimento totale di un protone di 100 GeV da parte di un blocco di ferro del peso di 10 Kg comporta un suo innalzamento di temperatura pari a circa 4 10-12 gradi. Tuttavia una piccola parte dell'energia ceduta è disponibile alla rivelazione sotto forma di emissione luminosa, come nei contatori a scintillazione, o sotto forma di una ionizzazione misurabile per mezzo di opportune camere a fili riempite di miscele di gas (argon-etano o simili); in entrambi i casi sono necessari regimi proporzionali, che garantiscano cioè la costanza del rapporto fra segnale rivelabile e energia depositata. Inoltre si rivela indispensabile una opportuna amplificazione dei segnali: questo si ottiene con i normali tubi fotomoltiplicatori nel caso dei circa 10000 fotoni prodotti da uno scintillatore plastico per centimetro di spessore attraversato da una particella con velocità b=0.96 (in regime cioè di minima ionizzazione), mentre servono amplificatori ad alto guadagno e basso rumore nel caso dei pochi picocoulombs di carica raccolti all'anodo dalla moltiplicazione tipica nei regimi proporzionali (circa 104) degli elettroni liberati nel gas dalla radiazione ionizzante.

Per analizzare un po' in dettaglio i principi di funzionamento dei calorimetri è opportuno distinguere i calorimetri elettromagnetici dai calorimetri adronici. Nei primi viene misurata con accuratezza l'energia di fotoni o elettroni (o positroni), i quali al di sopra di un centinaio di MeV perdono energia soprattutto per produzione di coppie e bremsstrahlung, rispettivamente; inoltre al di sopra di 1 GeV la loro perdita di energia può essere considerata indipendente dall'energia. La sezione d'urto di questi processi dipende dal quadrato del numero atomico del materiale attraversato: la quantità che caratterizza il fenomeno è la lunghezza di radiazione X0, definita come lo spessore (in cm, o più comodamente in g cm-2) di materiale nel quale un elettrone ha una probabilità P=1-1/e di irradiare un fotone:

 

X0-1 = 4rNAre2a [Z(Z+1)/A] ln (183/Z1/3).

 

Per i fotoni X0 si può considerare come lunghezza di attenuazione, utilizzando la formula

 

I = I0 exp (-7x/9X0),

 

ove il fattore 9/7 tiene conto della diversa sezione d'urto per la produzione di coppie. Per X0 è comodo utilizzare anche l'approssimazione X0=180A/Z2 (g cm-2), buona con un'approssimazione inferiore al 20% per Z>13. La lunghezza di radiazione è di circa 300 metri in aria, e scende a circa 9 cm nell'alluminio e a 5.6 mm nel piombo: ciò permette la costruzione di calorimetri di dimensioni contenute se si utilizzano sottili strati di piombo come materiale assorbitore, intervallati da altrettanto sottili lastre di scintillatore plastico; un'altra possibilità consiste nell'utilizzare blocchi di vetro al piombo, nel qual caso la luce raccolta sarà quella ottenuta per effetto Cerenkov. Per cristalli di NaI o BGO le dimensioni di contenimento sono più grandi e ciò può causare problemi progettuali; tuttavia questi rivelatori hanno risoluzioni decisamente migliori, perché non soffrono di fluttuazioni nel campionamento: ogni cessione energetica si rende disponibile sotto forma di segnale.

A causa della costanza di X0 con l'energia dei fotoni e elettroni, è possibile stimare in funzione di questa quantità lo spessore totale di assorbitore necessario ad assorbire completamente uno sciame elettromagnetico: il numero di particelle prodotte raddoppia ad ogni X0 di materiale attraversato, finché le particelle non hanno più l'energia sufficiente a continuare il processo: questo per gli elettroni accade quando viene raggiunta l'energia Ec, pari a circa 600/Z MeV. Al di sotto di Ec per gli elettroni prevalgono le perdite di energia per collisione con elettroni atomici (Moller scattering), mentre per i fotoni a circa la stessa energia diventa dominante lo scattering Compton. Si trova allora che per energie incidenti attorno ai 100 GeV sono sufficienti approssimativamente 20 lunghezze di radiazione ad assorbire il 98% dell'energia: ciò significa in termini pratici non più di 40-50 cm di spessore per dispositivi a campionamento quale il molto usato wafer piombo-scintillatore.

Anche il contenimento trasversale può essere parametrizzato attraverso la quantità X0; in questo caso, l'allargamento degli sciami (dovuto principalmente alla deflessione da bremsstrahlung, proporzionale a Dp/E, e - quando gli elettroni hanno raggiunto energie basse - alle deflessioni coulombiane) è inferiore alla quantità

 

R = 2 rM = 7 A/Z [g cm-2];

 

rM è il raggio di Moliére, che caratterizza la deflessione tipica degli elettroni nell'attravesamento di una lunghezza di radiazione.

 

La risoluzione energetica di questi dispositivi dipende in massima parte dalla stocasticita’ dei processi di cessione energetica coinvolti: e poiché il numero medio di particelle prodotte in uno sciame cresce linearmente con l'energia dell'elettrone o fotone incidente, dalla statistica di Poisson troviamo che la risoluzione deve scalare con una legge del tipo

 

s/E = k / E1/2,

 

se si trascurano gli effetti sistematici dovuti alle possibili perdite di una parte dell'energia (longitudinali -dovute alla insufficiente profondita’ dell’apparato- o trasversali -in genere dovute alla presenza di zone morte nelle interfaccia fra due celle calorimetriche contigue), alla non linearità della risposta del mezzo attivo, o altro ancora; per K sono comuni valori attorno al 10-20% nei calorimetri a campionamento.

 

Nei calorimetri adronici viene invece misurata l'energia degli sciami adronici prodotti dalle interazioni forti dei mesoni e barioni con i nuclei del mezzo attraversato. I processi di perdita di energia sono in questo caso molto più complessi e più da misurare con accuratezza, per almeno tre motivi:

1) la presenza di fenomeni di eccitazione nucleare, che riducono in maniera non facilmente prevedibile la frazione di energia misurabile a causa dell'emissione di neutroni e protoni veloci, o processi di diseccitazione non radiativa;

2) decadimenti in volo di pioni e kaoni in muoni e neutrini, che non rilasciano energia nel calorimetro;

3) infine, una notevole componente degli adroni secondari è costituita da pioni neutri (1/3 del totale di pioni) e altre particelle che decadono elettromagneticamente, dando luogo a fotoni, con conseguenti perdite di linearità nella risposta energetica.

La risoluzione ottenibile è quindi molto più scarsa di quella dei rivelatori di sciami elettromagnetici: il valore della costante K si aggira attorno al 70-80% nei calorimetri a campionamento non compensati se il mezzo attivo è materiale scintillatore, mentre se si tratta di gas essa sale a valori superiori al 150%. Inoltre va detto che la quantità corrispondente alla lunghezza di radiazione X0, la lunghezza di interazione l, è molto maggiore, e ciò obbliga a dimensioni longitudinali corrispondentemente più elevate per contenere gli sciami adronici. Nel ferro, materiale molto utilizzato come assorbitore, si ha l=17 cm; nell'uranio l=12 cm.

La differenza di risposta fra elettroni e pioni nei calorimetri adronici ammonta tipicamente a circa il 30-40%; in massima parte essa è dovuta al fenomeno dell'eccitazione nucleare dei pioni, che inoltre - come si è detto - contribuisce in modo dominante alla risoluzione. La risposta può essere parificata nei calorimetri compensati: in questi calorimetri l'assorbitore è uranio 238; l'uranio restituisce la perdita di energia "con gli interessi", sotto forma di fissione nucleare, cosicché una rivelazione di una parte anche piccola dell'energia liberata permette, con un'accurata calibrazione e una oculata scelta degli spessori degli strati di uranio e scintillatore, di raddoppiare la risoluzione: si ottengono in tal caso per K valori dell'ordine del 30-40%.

Un parametro di importanza fondamentale nel progetto dei calorimetri è la segmentazione trasversale. Una fine segmentazione in torri con geometria puntante nel vertice di interazione permette di ottenere una precisa mappa del deposito energetico in funzione delle coordinate q e f, che risulta importante per l'identificazione dei jets adronici. In realtà la segmentazione viene di solito progettata per essere uniforme nelle coordinate f ed h, la pseudorapidità

h = - ln ( tg q/2 ).

La pseudorapidità trasforma linearmente per boosts di Lorentz lungo l'asse z, e a causa di questo fatto la forma trasversale dei depositi di energia dei jets di particelle risulta circolare in queste due variabili. Il raggio tipico dei jets adronici è di 0.7 unità nello spazio h-f, e questo fatto viene utilizzato dagli algoritmi di ricostruzione (algoritmi di clustering) che identificano i depositi calorimetrici in jets adronici, permettendo una misura indiretta dell'impulso del partone originario. In realtà, dato che l'impulso degli adroni prodotti trasversalmente alla direzione iniziale del partone è all'incirca costante, e pari a circa 300 MeV/c (se si trascurano piccole deviazioni logaritmiche), mentre quello longitudinale scala linearmente con l'impulso del partone, le dimensioni trasversali dei jets di particelle diminuiscono con l'aumentare della loro energia. Per via di questo fatto, il raggio di ricostruzione degli algoritmi di clustering è diminuito con gli anni, all'aumentare dell'energia disponibile nel centro di massa dello scattering: valori di R attorno a 0.3-0.4 sono attualmente utilizzati dalle collaborazioni CDF e D0, che ricostruiscono le collisioni pp prodotte ad un'energia di 1.8 TeV. In questi casi non risulta essenziale la rivelazione della totalità dell'energia depositata, quanto la corretta risoluzione di jets angolarmente vicini -quali possono essere prodotti dal decadimento in due jets di bosoni vettori con alto impulso iniziale.